Oro

Nel 1268 Kublai (Qubilai-Qan), nipote di Gengis Khan fondatore dell’Impero Mongolo, conquista la Cina. Quando incontrò il Gran Khan dei Mongoli, Marco Polo non rimase solo sbalordito dall’immensità del suo palazzo, tutto adornato da prodigiose quantità d’oro. In effetti Marco aveva visto molto oro in Europa e nei suoi viaggi attraverso le Indie e l’Estremo Oriente. Ciò che lo sorprese veramente fu il sistema finanziario dei mongoli, che non aveva equivalenti nel mondo di allora.

Marco, come ogni europeo, era abituato al fatto che il denaro, strumento di scambio, fosse basato su un metallo prezioso (oro, argento e rame). La scoperta che nel Paese del grande Khan Kubilai si usasse la cartamoneta per i pagamenti delle merci fu uno shock. Le banconote dell’imperatore erano fatte di pasta di corteccia di gelso.

Il primo utilizzo della cartamoneta in Cina risale al IX secolo d.C..
All’inizio era il risultato della mancanza di rame. La carta coesisteva quindi con il metallo.
Ma l’innovazione del Khan nel XIII secolo consiste nell’assolutismo del suo approccio: tutti i pagamenti dovevano essere effettuati in banconote ufficiali, pena la morte.
Ogni straniero che importava merci in Mongolia, soprattutto se preziose, doveva accettare la valuta ufficiale.

Col tempo la Cina finì per stampare quantità sempre maggiori di banconote e perse il controllo della massa monetaria. Nel 1149, lo storico Ma Twan-lin avvertì: “La carta non dovrebbe mai essere denaro, a meno che non sia realmente basata sul valore dei metalli esistenti o in produzione”. Ed infatti nel 1455, la Cina corse ai ripari e decise di tornare all’uso delle monete di rame.

Il 15 agosto 1971, il Presidente degli Stati Uniti Nixon decretò la fine della “Finestra d’oro”. A partire da quella data, le banche centrali e i governi stranieri non poterono più chiedere la conversione dei dollari in oro. Ogni possessore di dollari da quel giorno non ha altro che un credito nei confronti degli Stati Uniti.


In questi ultimi mesi, temendo il diffondersi delle sanzioni che gli Stati Uniti si affrettano a sventolare, le banche centrali dei Paesi emergenti continuano a fare incetta di oro, saldamente attestato sopra i 2.000 dollari. L’oro è infatti il più classico dei beni rifugio.

Ne ho parlato molte volte nelle mie newsletter. Ne ho “consigliato” l’acquisto ad ottobre. Oggi vorrei ricordare che, per merito di Luigi Einaudi, la Banca d’Italia è il quarto detentore al mondo di riserve auree: 2.451,8 tonnellate di oro, il cui valore alla quotazione del 15 maggio 2023, ammonterebbe a 148,8 miliardi di euro; che 600 tonnellate sono state prese in consegna nel dopoguerra da Stati Uniti e Gran Bretagna e ad oggi non ci sono mai state restituite. E per gli amanti della storia consiglio di leggere “I nazisti e l’oro della Banca d’Italia” (edizioni Laterza 2001).

Una tigre non perde mai il sonno per l’opinione delle pecore.”

Ziad Abdelnour

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *