839.202 gli italiani residenti all’estero finiti l’anno scorso nel mirino del fisco.
La “caccia agli evasori” ha riguardato in particolare 648.320 cittadini italiani residenti in Svizzera e 108.693 residenti in Uruguay. L’Agenzia delle Entrate è stata facilitata dallo scambio automatico di informazioni fiscali e finanziarie iniziato nel 2017 che oggi è alimentato dalle informazioni che arrivano da oltre 110 Paesi (Stati Uniti esclusi) e dalla richiesta diretta alle autorità degli ex paradisi, come Svizzera e Principato di Monaco.
La cooperazione internazionale, amministrativa e fiscale, è qualcosa di cui sia i contribuenti che i consulenti non possono più non tener conto.
Ma se anche Svizzera e Monaco aprono gli archivi, cosa resta dei “Paradisi Fiscali”?
“Paradiso fiscale” è la traduzione dell’inglese “fiscal heaven” e probabilmente è una traduzione impropria. Spesso infatti sono considerati paradisi fiscali non solo quei luoghi in cui la tassazione è assente o molto bassa, ma anche quei luoghi in cui viene garantita segretezza.
Ed infatti molti italiani hanno scelto e scelgono di affidare i loro risparmi a banche estere perché li hanno ritenuti o li ritengono garanzia di un “rifugio”.
Il contrasto ai “paradisi fiscali” è una questione attuale. Il “segreto bancario” ha ricevuto dei duri colpi in questi anni, soprattutto nei Paesi a noi geograficamente più vicini (Liechtenstein, Svizzera, Principato di Monaco, San Marino e Santa Sede).
Molti mi chiedono se c’è ancora una utilità nel ricorrere ad una banca estera anziché affidarsi ad un intermediario italiano. Mi vengono in mente alcuni svantaggi:
– in Italia le rendite finanziarie sono tassate al 12,5% o al 26%, ben meno che in altri Paesi dell’Unione Europea. Molto vantaggiosa da noi è anche l’imposta di successione.
– non dichiarare i redditi prodotti all’estero può costare caro: le sanzioni sono raddoppiate come pure i termini di accertamento.
– non sempre trasferire la residenza all’estero consente di sfuggire alla tassazione. Il fisco, come abbiamo detto sopra, potrebbe non credere al cambio di residenza fiscale. Ed infatti dal 29 dicembre 2023 la definizione di residenza fiscale è cambiata in senso potenzialmente restrittivo.
– infine i cittadini fiscalmente residenti in Italia che detengono attività all’estero hanno notevoli costi amministrativi/burocratici. Devono solo per questo compilare il quadro RW della dichiarazione dei redditi, devono pagare l’IVAFE, sono tassati sia all’estero che in Italia e spesso faticano ad evitare la doppia imposizione.
In conclusione, l’affidamento dei risparmi ad istituti di credito all’estero comporta inevitabili aggravi che in molti casi superano i vantaggi.
Chi cerca perle deve tuffarsi in profondità
John Dryden