Italia: prendere o lasciare?

Perché investire in Italia?

  • le aziende e le famiglie italiane hanno basi solide rispetto alla media degli altri paesi: l’Italia è il 2° paese in Europa in termini di Export (7° a livello globale);

  • il “made in Italy” è un marchio ben noto a livello mondiale: gli imprenditori italiani sono riusciti a creare un marchio che unisce l’eccellenza italiana e tecnologie all’avanguardia.

Il mercato italiano offre azioni e obbligazioni emesse da aziende eccellenti che sono leader globali e sanno andare oltre le difficoltà economiche e politiche del nostro Paese.

Eppure stiamo parlando di un mercato poco sviluppato. Questi il dato di fatto: il Prodotto Interno Lordo (PIL) dell’Italia corrisponde al 2,2% del dato mondiale, mentre Piazza Affari (la Borsa italiana) equivale a solo lo 0,6%. Il valore complessivo di tutte le società italiane quotate in borsa è pari a circa €500 mld, molto ma molto inferiore alla capitalizzazione di mercato della sola Amazon che è pari a circa €900 mld.

Se quindi tutte le aziende italiane quotate valgono poco più di metà di una sola azienda americana si direbbe che le valutazioni siano convenienti. Ed infatti molto spesso le nostre aziende sono “preda” di acquirenti esteri proprio per il loro prezzo così conveniente. Ma quali pesi gravano su di loro? Incognite politiche, rischio inflazione, enorme debito pubblico, sono solo alcuni esempi. Impresa piccola, Paese debole.

Negli ultimi anni la Borsa italiana ha guadagnato sistematicamente meno dei listini internazionali.

Nei primi undici mesi del 2022 è stata registrata una ventina di quotazioni a Piazza Affari per un valore complessivo di circa 5 miliardi di euro. Nello stesso periodo le società che sono uscite, che non sono più quotate (delisting) sono state altrettante, ma per un controvalore di circa 20 miliardi e stanno per uscire anche Atlantia (20 miliardi), Autogrill (3 miliardi) e Tod’s (1 miliardo).

Ma quali sono le ragioni che tengono lontane le aziende italiane dalla borsa o addirittura le spingono a uscirne?

  • dimensioni ridotte. Le aziende italiane, anche le più interessanti sono di dimensioni ridotte;

  • cultura finanziaria. Le aziende italiane sono abituate a chiedere finanziamenti alle banche, e questo nonostante siano state “abbandonate” nel momento del bisogno a seguito della crisi finanziaria del 2008;

  • organizzazione famigliare. In Italia parliamo quasi sempre di imprese famigliari, poco inclini ad aprirsi al mercato. E quando lo fanno, come nel caso di Luxottica o di Ferrero, scelgono di trasferire la loro sede in Paesi stranieri e/o quotarsi in listini stranieri;

  • concorrenza dei fondi di private equity. A prezzi convenienti molti investitori “alternativi” si presentano ai nostri imprenditori con proposte “attraenti”;

  • inefficienza della Borsa italiana stessa. In Italia è molto difficile quotarsi. I progetti in fase iniziale, a differenza di quanto avviene in altri Paesi, sono spesso scoraggiati anziché favoriti.

Concludendo.

Realtà medio-piccole, spesso familiari, tuttavia straordinariamente efficienti, molto spesso non sono quotate nel mercato italiano. Investire nella Borsa italiana non significa quindi investire nell’Italia che crea valore. Per questa ragione chi vuole investire nelle aziende italiane è opportuno che si affidi a fondi di investimento, in grado di selezionare storie di successo per il lungo termine; società in grado di generare crescita per sé stesse e per gli investitori.

L’immaginazione è una grande avventura

Italo Svevo

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